IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa n. 584/88 tra:
 Garufi Domenico rappresentato e  difeso  dall'avv.  Antonino  Mazzei,
 attore,   contro   il  comune  di  Messina  in  persona  del  sindaco
 pro-tempore,
  rappresentato e difeso dall'avv.  Franco  Sacca'  e  la  Cooperativa
 edilizia   Fiamme   Oro   in   persona  del  presidente  pro-tempore,
 rappresentata e difesa dall'avv. prof. Enzo Silvestri.
                       Svolgimento del processo
   Con  atto  di  citazione  del  12  febbraio  1988  Garufi  Domenico
 conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale il comune di Messina
 e   la  Cooperativa  edilizia  Fiamme  Oro,  in  persona  dei  legali
 rappresentanti pro-tempore.
   Esponeva che, con decreto notificato l'8 novembre 1982, il  sindaco
 del  comune  di  Messina aveva autorizzato la Cooperativa edilizia ad
 occupare parte di  un  fondo  di  sua  proprieta'  sito  in  Messina,
 contrada  Gazzi,  per  la  realizzazione  di un complesso di edilizia
 economica e popolare costituito da due corpi di fabbrica.
   Eseguita  la  costruzione  era  decorso  il   termine   di   durata
 dell'occupazione    senza   che   fosse   emanato   il   decreto   di
 espropriazione.
   Chiedeva pertanto la condanna in solido dei convenuti all'integrale
 risarcimento dei danni conseguenti alla definitiva  privazione  delle
 aree  da determinare come per legge, oltre rivalutazione e interessi,
 anche ai sensi dell'art. 1283 codice civile.
   Instauratosi il contraddittorio la  cooperativa  ed  il  comune  di
 Messina eccepivano che l'occupazione era tuttavia legittima in quanto
 avvenuta in forza di un decreto sindacale notificato l'8 ottobre 1982
 che   aveva  fissato  in  anni  cinque  il  termine  di  occupazione.
 Senonche' l'occupazione, che doveva scadere  nell'ottobre  del  1987,
 aveva  beneficiato,  secondo  la  cooperativa,  di  quattro  proroghe
 legali:   quella disposta dall'art. unico  della  legge  23  dicembre
 1982,  quella  di cui all'art. 1, comma 5-bis del decreto legislativo
 22 dicembre 1984, n. 901, convertito in legge 1 marzo  1985,  n.  42,
 quella  prevista  dall'art.  14  del  decreto legislativo 29 dicembre
 1987, n. 534, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 47,  e  quella
 della legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22, per cui l'occupazione in
 questione sarebbe scaduta nell'ottobre del 1993.
   Analoghe difese svolgeva il comune di Messina.
   L'attore     contestando     l'eccezione    avversaria    sosteneva
 l'inapplicabilita' della legge 20 maggio 1991, n. 158.
   Espletata   consulenza   tecnica,   la   quale  concludeva  per  la
 edificabilita' del terreno quantificando conseguentemente il danno, e
 rimessa la causa al  Collegio, questo, con ordinanza  del  16  giugno
 1993,  ritenuto  che  il  valore  venale  del  fondo  dovesse  essere
 calcolato alla  data  della  cessazione  dell'occupazione  legittima,
 novembre  1990,  disponeva  un  supplemento  di  consulenza.  Rimessa
 nuovamente  la  causa  al  Collegio,  in  esito  al  supplemento   di
 consulenza,  prima  dell'udienza  di discussione entrava in vigore la
 legge 28 dicembre 1995, n. 549, che all'art.  1, comma 65,  ha  cosi'
 disposto:
     "Il  comma  6  dell'art.  5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333,
 convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992,  n.  359,  e'
 sostituito  dal  seguente:  "6.  Le  disposizioni  di cui al presente
 articolo si applicano in tutti i casi in cui non  sono  stati  ancora
 determinati  in  via  definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo
 e/o del risarcimento del danno alla data di entrata in  vigore  della
 legge di conversione del presente decreto"".
   Nella comparsa conclusionale, l'attore, ritenuta la rilevanza della
 disposizione  citata  ai  fini della quantificazione del risarcimento
 dei danni prodotti dall'illecito dei convenuti, avendo  interesse  al
 risarcimento   integrale   come   richiesto   in   citazione,   oltre
 rivalutazione ed interessi, senza  subire  la  radicale  decurtazione
 conseguente   all'applicazione   dei   criteri   determinati  per  le
 espropriazioni legittime, deduceva l'incostituzionalita' della norma,
 che  sottopone  allo  stesso  regime  due  fattispecie   radicalmente
 diverse:  un  atto  lecito  e  legittimo  quale  l'espropriazione per
 pubblica utilita', conseguente a regolare procedimento previsto dalla
 legge  da  cui  da  cui   deriva   il   diritto   all'indennita'   di
 espropriazione,  e  un  illecito, che determina la definitiva perdita
 della proprieta', attribuendo il diritto ex art.  2043 codice  civile
 all'integrale risarcimento del danno.
   In  questa prospettiva l'attore chiedeva che il Tribunale, ritenuta
 la questione  proposta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,
 atteso   il   contrasto   della  norma  citata  con  l'art.  3  della
 Costituzione, volesse sospendere il giudizio e trasmettere  gli  atti
 alla Corte costituzionale.
                        Motivi della decisione
   Al  riguardo  osserva  il  Collegio  che  la  questione proposta e'
 rilevante poiche' la causa non puo' essere  decisa  indipendentemente
 dalla soluzione della stessa.
   Infatti  il  decreto  di  occupazione  di  urgenza  cesso' di avere
 efficacia  il  4  novembre  1990  divenendo  pertanto  in  tale  data
 l'occupazione illegittima e pertanto illecita.
   Invero  non  solo il decreto sindacale porta la data del 5 novembre
 1982, ma, circostanza questa decisiva, la prima  disposizione  citata
 dalla  cooperativa  (e  precisamente  l'articolo unico della legge 23
 dicembre 1982)  non  ha  riguardo  al  differimento  dei  termini  di
 occupazione   di   urgenza,  essendo  invece  relativo  alla  proroga
 dell'applicazione dei criteri di  determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione  e  di occupazione di urgenza contenuti nella legge 29
 luglio 1980, n.  385.
   Pertanto il decreto di occupazione di urgenza del 5  novembre  1982
 e'  stato  prorogato solo di tre anni complessivamente (di un anno in
 forza dell'art. 1, comma 5-bis del decreto  legislativo  22  dicembre
 1984,  n.  901, convertito in legge 1 marzo 1985, n. 42 e di due anni
 in  forza  dell'art.  14 del decreto legislativo 29 dicembre 1987, n.
 534, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 47)  venendo  quindi  a
 scadere  definitivamente,  come  gia' detto, il 4 novembre 1990, data
 alla quale risultavano realizzate le opere e non emesso alcun decreto
 di espropriazione, con l'ulteriore conseguenza della inapplicabilita'
 della proroga disposta con legge 20 maggio 1991,  che,  per  espressa
 previsione, si riferiva solo alle occupazioni in corso.
   Ritenuta pertanto l'illegittimita' dell'occupazione alla data del 4
 novembre  1990,  con il conseguente diritto al risarcimento spettante
 all'attore,  deve  ritenersi  altresi'  rilevante  l'incidenza  sulla
 decisione  della  nuova  norma  di cui all'art. 1, comma 65, legge 28
 dicembre 1995, n. 549.
   Essa infatti si applica a tutti i casi in cui, come  nella  specie,
 non  sia  stato  determinato  in  via  definitiva il risarcimento del
 danno, in cio' modificando il precedente regime, che  sottoponeva  la
 fattispecie  di  illecita occupazione, e irreversibile trasformazione
 del bene, ad un regolamento radicalmente diverso  rispetto  a  quello
 previsto  dalle  vigenti  norme  sulla  espropriazione  per  pubblica
 utilita'.
   In particolare nella specie, trattandosi di terreno edificabile, vi
 e' una notevole differenza tra la misura del  danno  quantificato  in
 ragione  del  valore venale e quella risultante dall'applicazione dei
 criteri sull'indennita' di esproprio. Accertata  la  rilevanza  della
 questione  di costituzionalita' ai fini della decisione deve pertanto
 decidersi se non sia manifestamente infondata.
   Il  Collegio,  conformandosi  alla   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale e confortato in cio' dalla, giurisprudenza della Corte
 di  cassazione,  ritiene  di  dovere  dichiarare  non  manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita' dell'art.  1,  comma  65,
 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella parte in cui sottopone il
 risarcimento  del  danno  derivante  dal  fatto illecito, consistente
 nell'illegittima trasformazione del fondo altrui, al medesimo  regime
 previsto  per  la diversa fattispecie della espropriazione e cio' per
 contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione.
   La Corte costituzionale, infatti, con sentenza 2-16 dicembre  1993,
 n.  442,  ha precisato che la fattispecie dell'espropriazione di aree
 edificabili e quella dell'accessione  invertita  sono  "assolutamente
 divaricate  e  non  comparabili.  Nella  prima  c'e'  un procedimento
 espropriativo secundum legem  (ossia  nel  rispetto  dei  presupposti
 formali  e  sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il
 proprietario espropriato e  vengono  quindi  in  rilievo  le  opzioni
 (discrezionali)    del    legislatore    al   criterio   di   calcolo
 dell'indennita' di espropriazione;  la  seconda  ipotesi  si  colloca
 fuori  dai  canoni  di  legalita' (perche' e' la stessa realizzazione
 dell'opera pubblica sull'area occupata ma non espropriata ad impedire
 di fatto la retrocessione e a comportare l'effetto  traslativo  della
 proprieta'  del  suolo  per accessione all'opera stessa) e quindi ben
 puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un  danno
 per effetto di una attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro.
 Per altro verso e' giustificato che l'ente espropriante, il quale non
 faccia   ricorso  ad  un  legittimo  procedimento  espropriativo  per
 acquisire l'area edificabile, subisca  conseguenze  piu'  gravose  di
 quelle previste ove, invece, sia rispettoso dei presupposti formali e
 sostanziali  prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto di
 ablazione dell'area".
   La radicale diversita' delle fattispecie e' stata per  altro  anche
 di  recente  ribadita  dalla  Corte  nella  sentenza n. 188 del 17-23
 maggio 1995, la quale, richiamando la giurisprudenza della  Corte  di
 cassazione  a  Sezioni Unite, ha ritenuto che l'elemento qualificante
 della  fattispecie  dell'illecita  trasformazione  del  fondo  altrui
 consista  nell'azzeramento  del  contenuto  sostanziale del diritto e
 nella  nullificazione  del  bene  che  ne  costituisce  oggetto.   In
 definitiva    cio'    che    si    verifica   e'   la   vanificazione
 dell'individualita'  pratico   giuridica   dell'area   occupata,   in
 conseguenza  della  materiale  manipolazione  dell'immobile nella sua
 fisicita' che ne comporta una trasformazione cosi totale da provocare
 la perdita dei caratteri e della destinazione propria del  fondo,  il
 quale, in estrema sintesi non e' piu' quello di prima.
   La  Corte  conclude: "Ed appunto questa perdita e' l'evento che, in
 quella ricostruzione, si pone in rapporto di causalita'  diretta  con
 l'illecito  dell'amministrazione.  Mentre  l'acquisto  in  capo  alla
 medesima  del  nuovo  bene,  risultante  dalla   trasformazione   del
 precedente  si  configura,  invece,  come  una conseguenza ulteriore,
 eziologicamente dipendente non dall'illecito, ma dalla situazione  di
 fatto,   realizzazione   dell'opera  pubblica,  con  conseguente  non
 restituibilita' del suolo in  essa  incorporato,  che  trova  il  suo
 antecedente   storico   nell'illecita   occupazione  e  nell'illecita
 destinazione del fondo alla costruzione dell'opera stessa".
   Con cio' si confermava costituzionalmente corretta la ricostruzione
 operata dalle Sezioni Unite  della  Cassazione  con  la  sentenza  25
 novembre  1992,  n. 12546 che sanciva l'esistenza di un illecito e di
 un conseguente credito risarcitorio in una tale fattispecie.
   Pertanto si evidenzia l'illegittimita' dell'art. 1, comma 65, legge
 28 dicembre l995,  n.  54,  9,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  nella  parte  in cui sottopone allo stesso trattamento
 situazioni  radicalmente  diverse,  siccome  sono  l'illecito   della
 pubblica  amministrazione,  con conseguente risarcimento del danno, e
 la  legittima  espropriazione,  cui  consegue  l'indennita'  prevista
 dall'art. 42 della Costituzione.
   La  disposizione  sottoposta  ad  esame  ha,  per altro, un effetto
 dirompente, perche' incide negativamente sul principio  di  legalita'
 (art.  42  Cost.),  posto  dal  Costituente  a  garanzia  dei diritti
 fondamentali  dei  soggetti  tutelati  da  un  regolare  procedimento
 espropriativo,  con  arbitraria  compressione  del  diritto di difesa
 (art. 24  Cost.),  aggravata  dal  piu'  breve  termine  quinquennale
 previsto per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e
 perche'  contraddice  al dettato costituzionale sull'imparzialita' ed
 il buon andamento della pubblica amministrazione, finendo, al limite,
 col far preferire alla pubblica amministrazione  la via dell'illecito
 che, non solo, sara' piu' semplice  e  svincolata  dai  controlli  di
 legittimita',  ma  abnormemente  piu'  favorevole per il beneficiario
 dell'opera  pubblica  o  di  pubblica  utilita',  e  determinera'  la
 riduzione,  o  addirittura  la  scomparsa,  della responsabilita' dei
 funzionari della pubblica amministrazione, e degli  enti  pubblici  o
 privati,   cui  sia  demandato  il  compimento  di  atti  finalizzati
 all'espropriazione,   per   violazione    di    diritti    soggettivi
 fondamentali.